Esplorazione del Varanger: la culla degli Dei

La mattina ci porta verso Kaamanen, al cuore della cultura Sami. Ci accolgono con sorrisi e mani che sanno di freddo. Le renne si muovono lente nella neve, e nelle loro corna vediamo riflessa la storia di un popolo che vive in simbiosi con la natura. Partiamo, attraversiamo il confine verso la Norvegia. La tundra del Varanger si apre davanti a noi, un orizzonte vasto e bianco. L’aurora ci sorprende, una danza di luci nel cielo notturno di Kongsfjord: verde, viola, sfumature impossibili da descrivere. Siamo spettatori di un miracolo.

Lasciamo Kongsfjord e ci dirigiamo verso Berlevag La strada serpeggia tra le scogliere del mare di Barents. Le onde s’infrangono contro le rocce, una potenza primordiale che fa sentire piccoli. Berlevag ci accoglie con il suo porto, ancora vivo nonostante le intemperie e il passato tumultuoso. Qui, durante la guerra, le bombe sovietiche piovvero pesanti, ma la gente tornò, e ricostruì. Le case colorate, il piccolo museo che racconta le storie di pescatori e partigiani. La storia si respira, e ogni angolo sembra parlare di resistenza e speranza.

Ci spingiamo verso nord, lungo la strada che ci porta a Batsfjord. Le distese innevate sono punteggiate da renne solitarie, sagome scure su un mare bianco. Arrivati al fiordo, salpiamo per pescare il King Crab, un gigante del mare artico, introdotto qui dai russi negli anni ’60. Il cielo è terso, il freddo tagliente. Tornati a terra, il granchio diventa il nostro pasto, preparato secondo la tradizione locale. La serata si conclude in una sauna calda, seguita da una ciaspolata sotto il cielo stellato. La natura qui sa essere severa, ma sa anche premiarti con momenti di pace assoluta.

Risaliamo il Varangerfjord, il più grande della Norvegia. Qui, secoli fa, i commerci con i russi erano la norma, e il “russenorsk”, un misto di russo e norvegese, si sentiva nei mercati lungo la costa. Vardø ci accoglie con le sue storie oscure: il monumento alle streghe ci ricorda un passato doloroso, quando la paura portò alla morte di novantuno persone, accusate di stregoneria. La fortezza di Vardøhus, la più settentrionale al mondo, è una sentinella solitaria, con cannoni che guardano verso la Russia. Sopra di noi, l’aurora boreale illumina la notte, come a suggellare la storia di queste terre estreme.

I cani ci aspettano, i loro occhi brillano di un entusiasmo che contagia. Le slitte scivolano rapide sulla neve, il vento freddo sul viso è come una sferzata di vita. Ci fermiamo solo quando i cani hanno bisogno di riposare. Accendiamo un fuoco, gustiamo del cibo cucinato all’aperto, e osserviamo il paesaggio bianco che sembra non finire mai. È un’esperienza di pura libertà, una connessione primitiva con l’ambiente artico.

L’ultimo giorno ci porta a Inari, al museo Siida. La storia dei Sami prende forma tra fotografie, oggetti d’antiquariato, e racconti sussurrati. È la storia di un popolo che ha saputo adattarsi a un ambiente estremo, di pastori, cacciatori, di artigiani che lavorano il legno e il cuoio. Dopo pranzo, saliamo su una motoslitta, attraversando la foresta innevata. La velocità ci porta nel cuore del paesaggio artico, tra gli alberi coperti di ghiaccio, in un mondo che sembra senza fine.

Torniamo a Ivalo. Ogni fotografia scattata in questi giorni racconta una storia di bellezza e di lotta. L’Artico è un luogo che ti costringe a riflettere, a rispettare la natura, a capire la piccolezza dell’uomo di fronte alla vastità del mondo. Lasciamo l’Artico, ma portiamo con noi la sua essenza: il freddo, il silenzio, la luce dell’aurora, e la consapevolezza di aver vissuto qualcosa di unico.